Il Tataratà

Il Tataratà, nome onomatopeico derivante dal suono ritmato del tamburo, è di certo fra i più antichi folklori al mondo ed ha origini imprecise.
Molte le interpretazioni che sono state date a quella che è oggi una danza spettacolare e travolgente eseguita da duellanti armati di vere spade.

Sono tre le intrecciate ipotesi più accreditate;

  • la prima, la più arcaica, è allacciata alla danza propiziatoria per la fertilità della terra;
  • la seconda, la più valutata, alla danza dei Mori e dei Cristiani (Moresca) quindi in riferimento alla presenza araba/musulmana in sicilia;
  • la terza, la meno menzionata anche se ugualmente valida, alla danza dei Spatolatori di Lino.

Qualunque sia, la sua vera origine è di certo affiancata al ritrovamento, prima ancora della fondazione del paese di Casteltermini, di una Croce lignea festeggiata fino ai giorni nostri. La Croce Paleocristiana più antica del mondo, in quanto il legno di quercia, risulata essere, dopo un accurato esame del Carbonio 14, del 12 d.C.

In riferimento alla prima ipotesi, il Tataratà, non a caso, è presente nel mese di Maggio, nel cuore della primavera, e vede i danzatori che in piena festa indossano in testa una corona di fiori. A lungo, in passato, è rimasta nella coscienza popolare, il concetto che più alti erano i salti delle danze e più alto sarebbe cresciuto il grano. Epoche antiche, riti primitivi voluti per favorire raccolti; fertilità della terra, vere ed uniche ricchezze di un passato.

Ogni Danza, poi, si trasforma in una lotta armata secondo un principio fondamentale che associa ad ogni rito propiziatorio della fertilità una prova agonistica, di abilità o di forza fisica e che è riconducibile all’eterna lotta tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra estate ed inverno. Nemmeno l’avvento del Cristianesimo riuscì con facilità a primeggiare sulle vecchie usanze pagane, dure a morire specialmente nel mondo rurale, dovendo tollerare parecchie manifestazioni rituali, tra cui appunto la danza, che solo dopo molte condanne riuscì a “cacciare dal tempio”; ma in parecchie regioni è ancora palese la sopravvivenza di arcaiche danze agrarie che, opportunamente adattate si sono inserite in feste popolari religiosi locali.

Nel 1980 il Toschi definisce il Tataratà come una “rappresentazione a tema agonistico la cui struttura è costituita dalla moresca”, e si spinge oltre affermando che essa conserva elementi più arcaici che proiettano il Tataratà in epoche ben più remote. Toschi individua in “quei soldati che hanno per copricapo una corona di fiori, quel re ed il suo seguito, e soprattutto in quella danza armata eseguita a piccoli salti”, elementi di riti agresti e feste primaverili propri di una religiosità primitiva.

Tra le più valutate interpretazioni si evidenzia il riflesso della dominazione araba/normanna in Sicilia.

Ipotesi condivisa da molti Castelterminesi e sostenuta da Paolo Lo Bue nel 1961, che vorrebbe il Tataratà “una danza cristiana a testimonianza proprio di quel mirabile equilibrio che aveva reso possibile la convivenza tra Cristiani e Musulmani al tempo dell’occupazione araba” (*3).

Prevalente diventa l’interpretazione che individua nella “moresca” il tema principale del Tataratà.

Curt Sachs nel 1980, in “Storia della danza” la descrive così:

“La moresca è una danza che riflette il ricordo romantico del periodo arabo nell’Europa meridionale”. Essa si presenta sotto due forme: “come danza a solo e come danza a coppie o a gruppi, con il motivo del combattimento con la spada fra cristiani e musulmani”(*1).

Giovanni Calendoli nel 1986 scrive:

“Fiorisce e si diffonde durante i secoli XVI e XVII e ” diffondendosi, la danza perde l’esatta memoria del suo originario contenuto e diventa una danza che oppone semplicemente due schiere di ballerini e , nei momenti culminanti, due soli ballerini, l’uno contro l’altro armati” (*2).

L’ipotesi che al Tataratà siano collegati i spatolatori di lino, è meno menzionata anche se ugualmente valida. A tal riguardo c’è la più antica testimonianza raccolta dal G. Di Giovanni consistente in un atto datato 17 agosto 1685. Di esso molti hanno tentato una spiegazione, è lo stesso Di Giovanni a fornire la prima descrizione apparsa nel 1875 in “Fiabe novelle e racconti” del Pitrè: “Gli spazzatori di lino vestiti bizzarramente fanno parte della processione combattendo colla sciabola, inchinandosi a quando a quando a uno di loro vestito da re con ministri e dottori a fianchi. Battonsi a suon di tamburo, dal cui stimpellamento prende il nome la Festa”. Anche il Sig. Angelo Nobile, illustre maestro di tamburi di Casteltermini, condivide questa ipotesi.

Ipotesi intrecciate tra loro descritte anche da personaggi come il Pitrè, scrittore letterario e antropologo italiano noto principalmente per il suo lavoro nell’ambito del folklore regionale. Egli nomina i Spatolatori di lino come sopra descritti, vede anche nel Tataratà un combattimento di gioia, in quanto allude all’invenzione della Croce ad opera di Costantino e nel 1881 aggiunge che trattasi di un antico ludo certamente non nato a Casteltermini, ma lì portato dai paesi vicini, dai quali provenivano i nuovi Casteltermini.

Sempre il Pitrè nel 1899 scrive: “In questa rappresentazione muta si vuol vedere la festa degli uomini liberati dalla schiavitù ai tempi di Costantino; e dell’invenzione della Croce”; poi, parlando di spettacoli commemorativi di combattimenti arabo normanni e di rappresentazioni mute, così si esprime: “…e forse non andremmo lontani dal vero se volessimo associare a questi anche il Tataratà di Casteltermini”.

Il Prof. Francesco Lo Verde di Casteltermini nel 1990 scrive: “Dalla Primitiva Danza, rito propiziatorio di primavera sopravvissuto con la Croce nelle nostre campagne fino all’avvento dei Normanni e storicizzandosi allora nella forma della moresca, nella quale è giunto fino a noi, il Tataratà forma un binomio inscindibile con la Croce, si spiegano e si valorizzano a vicenda ed ancora oggi trovano giusta collocazione in quella festa straordinaria che ogni IV domenica di maggio fa miracolosamente rivivere quei fasti plurimillenari che le diedero origine”(*4).

Dagli inizi degli anni 70, il Tataratà viene eseguito da giovani studenti.

Il Gruppo folcloristico si propone di mantenere vive tradizioni ed i monumenti che ne sono permeati, ha l’intento di diffondere la cultura unica del suo paese che sorge nel cuore della Sicilia e che custodisce un messaggio di civile e simbiotica convivenza tra le tradizioni, la cultura ed il modo di vivere delle etnie cristiane e musulmane che abitavano pacificamente i territori ancor prima che il nucleo abitativo si consolidasse.

(*1) Curt Sachs, Storia della danza, Milano 1980, pag.368
(*2) G. Calendoli, Soria universale della danza, Milano 1986, pag.95
(*3) P.Lo Bue, Articolo su Giornale di SIcilia del 28 05 1961
(*4) F.Lo Verde, La Croce Paleocristiana e il Tataratà di Casteltermini, S.G.Gemini (AG)1990 pag.73.